Giù le carte!

Suppergiù ventiquattr’ore ci ho messo per scrivere Ai funerali del buon padre del mio amico John.

In questo post vi voglio raccontare dove e come è nato, cosa c’è di vero, cosa no. Ma soprattutto, vorrei che mi aiutaste a pigliarli a schiaffi come si meritano, lui, Clara, la mamma e il Tizio Narrante.

Scopro le carte.
Sabato 28 settembre ero davvero al funerale del padre di un mio amico. Sono rimasto tutto il tempo in piedi, in fondo alla chiesa. A pochi passi da me, sul pavimento, c’era una grossa lapide sepolcrale a forma di rombo datata MDCCCXCV. Ho contato e ricontato una serie infinita di volte quante piastrelle ci fossero in diagonale tra la lapide e la mia scarpa destra. Avrei anche cercato di seguire cosa diceva il prete ma l’acustica della chiesa era ahimè pessima.

Tutto il resto è fantasia.

Non esiste un bambino salvato all’ultimo istante da un’auto in corsa. Non esiste una madre che mi bacia con la bocca sporca di pastasciutta. Non esiste una Clara che adora il mare, non esiste una nonna che gioca coi nipotini. Non esistono candeline in più sulla torta del mio compleanno.
Non so se il padre del mio amico John fosse una persona buona (ho peraltro diversi elementi per pensare di sì). Non ho amici che si chiamano John.

L’idea è nata come sempre senza un perché. Avevo altro da fare, quel pomeriggio, eppure risalendo in macchina, ecco improvviso quel qualcosa, quell’impulso imperioso, indifferibile, a scrivere. Qualcosa di incontrollabile, qualcosa che non decidi, come non decidi di aver paura quando salta la luce o viene il terremoto. Succede. E devi obbedire. E non ne faccio questione di fascino né di magia. Scrivere è sudare, sporcarsi le mani, è anche sputare sangue, a volte. È snervante e sgradevole e frustrante.

Da dove è uscito tutto il resto. Clara, la mamma, le candele, i bambini. La storia.
Non lo so.

Ne è uscita comunque una storia.
Ecco.
Funzionava?
Dai, divertiamoci.
Facciamole le pulci.
Giochiamo al tiro al bersaglio.

Fra i miei chiodi fissi c’è questo, mi sembra sempre di lasciarmi sfuggire qua e là ingenuità lessicali, come se ogni dieci, venti, trenta parole ben scritte ne uscisse una sbagliata, fuori posto, ma clamorosamente fuori posto, stupida, ingenua, cretina. La mosca bianca che io, ovviamente, non sono in grado di individuare e che invece voi vedete benissimo.

Le immagini. Il bambino che sfugge per un pelo all’incidente, siete riusciti a vederlo? Clara con lo schienale della sedia fra le gambe, sono riuscito a mostrarvela? E quella donna che esce dalle file di panche e nel “silenzio incerto” della chiesa “avanza sicura” verso la bara?

I personaggi: è credibile quella madre così stravagante? È credibile quella Clara così scontrosa? Quella nonna che alla sua età pretende di accompagnarmi al funerale?

Il ritmo. Vi è sembrato di scivolare giù come all’Acquasplash, lungo i capoversi, o piuttosto si arrancava in salita fra i rovi? Avete saltato delle parti qua e là per arrivare più presto all’ultimo clic e cambiar sito? Vi interessava sapere quello che sarebbe successo la riga dopo? O piuttosto, sì, si leggiucchiava, ma in realtà…

Il finale. Il finale è la chiave della storia, un finale riuscito è una storia riuscita. Questo lo è?

L’idea iniziale era un’altra. Avevo pensato di chiudere con Tizio Narrante che finito il funerale esce dalla chiesa, si ferma a parlare insieme a un gruppetto di persone sul ciglio della strada. D’improvviso una frenata brusca, un botto, e una macchina gli piomba addosso.

Una sorta di chiusura del cerchio. Destino che toglie, destino che dà. Il “buon” padre dell’amico John che prima ti leva dai guai, poi ti ci mette.
Avrebbe funzionato? Non lo so. Però non mi pareva credibile. Suggestivo magari, ma forzato.
Chiaro, l’avrei fatto finire all’ospedale con una gamba rotta, mica morire: ma lo stesso, mi sembrava troppo.

L’altro finale è arrivato per caso. Come sempre, ad occhi chiusi sotto la doccia. Il sabato sera quando ne avevo abbastanza di scrivere e pensare, e desideravo solo il letto.
È stata la scelta giusta?
La scena della candelina: è credibile? O dà la nausea? Troppo artificiosa? Melodrammatica?

Chissà. Che poi quand’è sulla carta, stampata o virtuale che sia, un racconto è ormai altro da noi. È lui che impalliniamo, non me. E ho appena dato l’esempio.

32 pensieri su “Giù le carte!

  1. Pingback: Ai funerali del buon padre del mio amico John | Meglio tacere e passare per scemi che aprir bocca e togliere ogni dubbio

  2. Ti scrivo qui sotto perché l’idea del dietro le quinte mi ha interessata parecchio e finito di leggere il racconto ho avuto subito voglia di venire di qua…. un altro racconto che alla fine completa il precedente! Ho ancora l’immagine delle scarpe scure della madre a pochi centimetri dalle ruotine….mi sembra di sentire lo stridio delle suole sul pavimento nel silenzio della chiesa mentre lei torna a sedersi….ok…mi sa che mi piacerà leggerti! 😀

    • Grazie di aver partecipato a questo gioco!!, mi hai anche dato l’idea di “linkare”, diciamo così, il racconto al dietro le quinte, di modo che sia più facile passare dall’uno all’altro.
      Come vedi senza troppe storie e misteri ho scoperto le carte, com’è nato, cosa c’è di vero, cosa no e tutti i miei dubbi. S’impara, e molto, grazie a chi legge! 😉

  3. Nel commento al racconto ti avevo scritto che ero riuscito a leggerlo tutto di un fiato, questo significa che sei riuscito a tenere desta l’attenzione del lettore. Qui lo ribadisco. La realtà spesso è noiosa e un buon scrittore deve saperla trasformare con la sua fantasia e renderla accattivante, nel bene e nel male. Anche se si tratta di un funerale.
    Nicola

    • Grazie di essere ritornato qui e aver rimarcato e approfondito il tuo punto di vista.
      Cogli un punto non da poco (realtà noiosa -> da trasformare e rendere accattivante), prova ne sia che ho iniziato davvero a capirlo solo dopo diversi anni che mi ostinavo a “scribacchiare” scene e dialoghi tipo copia/incolla dalla realtà. E non capivo perché non funzionava…

    • (PS non uso intervenire sui commenti anzi, non lo faccio proprio mai, ma mi sono permesso di correggerti il genere, da “sei riuscita” a “sei riuscito”, a strenua e fiera difesa del nostro cromosoma Y 😉 )

  4. Anche io quando racconto dico pochissimo di me. A volte tengo solo un fatto o solo un’emozione.
    Al posto tuo avrei fatto narrare al prete, alla madre o forse meglio al morto. Ma sarebbe stata un’altra storia 😉

  5. Ian, ti dissi già cosa penso di questo racconto, i personaggi stravaganti, poi, a me piacciono particolarmente, anche se tendono a evidenziare la normalità di quelli meno bizzarri (povera Clara =) )
    La forma, in particolare, mi è piaciuta, è delicata (non ingenua, anzi, a tratti è pungente), quindi niente schiaffi, i tuoi personaggi li invito a cena 🙂

  6. A me è piaciuto molto. Basta dirti che mi è bastato rileggere un paio di particolari per ricordarmi l’intera storia, come se l’avessi vissuta io, come se me l’avesse raccontata un amico prima di salutarci e darci la buonanotte.
    Sì, me la sono immaginata e li ho visti davvero i personaggi. Ho visto davvero Clara indispettirsi per un “weekend sprecato”, la madre della voce narrante impazzire e tutto il resto.
    Funziona. Poi gli errori ci sono e ci saranno sempre, è questione di rileggere tutto con calma e ad alta voce dopo un’oretta o giù di lì.
    Mi piacerebbe scrivere racconti come questo! 🙂

    • Rileggere un’ora dopo, e soprattutto ad alta voce, ecco una cosa che non faccio mai. Prendo nota, prendo nota… 😉
      Th*nks anche a te! L’ultima frase detta da te poi è una ciliegina (scrivi già di molto meglio!).

  7. Ho trovato il racconto davvero piacevole e non mi ha annoiato neanche un po’. Credo che il mondo sia un palcoscenico enorme abitato dalle persone più stravaganti. Spesso si leggono notizie ai confini della realtà, non mi sembra che quelle che hai raccontato siano vicende così inverosimili. Quei personaggi sono perfetti e mi piacciono molto tutte le vicende. Mi fa piacere che hai voluto pubblicare queste informazioni degne dei Dvd con contenuti speciali e scene tagliate!

    • Si vede? Ho sempre avuto un debole per il backstage… per ciò che sta dietro alle storie che scriviamo, per la realtà che pulsa e che freme nascosta dietro la finzione. Ho letto certe introduzioni a racconti di Stephen King, in cui spiegava in che modo bizzarro gli si erano avvicinati i personaggi, le scene, perché aveva scelto un finale o un’ambientazione piuttosto che un altro, le ho lette con un gusto e un diletto quasi maggiore del racconto che seguiva. Ed era un racconto di Stephen King, voglio dire…
      Grazie di aver detto la tua!

      • Se tutti fossero come me la pirateria sui film non esisterebbe proprio per i dvd extra; nei libri il discorso è diverso: è quasi una condanna, soprattutto quando ci sono le introduzioni enormi e io non posso saltarle!

  8. Sicuramente meglio il finale che poi hai tenuto!. Io questo capodanno andrò a Parigi. Chissà che non mi venga qualche bella idea!

    • I viaggi sono una fonte inesauribile di idee… Il problema è dopo: trasformare l’entusiasmo in parole, frasi sensate, forma, struttura… Secondo me te ne verranno anche prima di capodanno, di belle idee.

  9. L’idea più originale è stata quella della candelina blu, le mamme sono capaci di questo ed altro.
    Forse un po’ forzato il gesto dell’esibizione della candelina al funerale.
    Per il resto, davvero, davvero, il brano è stato avvincente e io l’ho letto tutto d’un fiat
    Non ci sono Luna Park dalle mie parti!
    Per cui nessun tiro al bersaglio.
    Almeno per questa volta! 🙂

    • Ottimo, vedi allora che siamo in due (almeno) ad avere questa impressione, mooolto utile il tuo commento.
      “Le mamme sono capaci di questo ed altro” è un’altra frase che apre un mondo… 🙂
      Scampo infine al tiro al bersaglio, benone!!
      …e grazie anche a te del contributo!

    • Capita spesso, parti da un fatto poi lasci che la mente crei. Impasti realtà e fantasia. Essere sconosciuto a chi ti circonda aiuta parecchio a giocare liberamente con queste cose.
      Grazie del contributo!

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